Sono passati più di 3 mesi dal mio viaggio in solitaria a Sarajevo e ancora non sono riuscita a scrivere due righe nel blog a proposito della città. Non è stata mancanza di tempo, ma Sarajevo è un’esperienza che va “decantata”. E’ stata una visita forte emotivamente e la città si è portata via un pezzo di cuore. Ci vuole tempo per “tirare le somme”, prendere la giusta distanza e tirare il filo dei proprio pensieri.
Sono partita attratta dalla storia dei Balcani e vogliosa di saperne di più. Quando c’è stata la guerra ero giovane e poco “ricettiva”. Forse sono stata un po’suggestionata dalla lettura del libro “Venuto al Mondo” di Margaret Mazzantini.
Sono arrivata in una Sarajevo innevata: con il candore della neve a rendere il tutto ancora più suggestivo e surreale.
Cosa mi ha colpito di Sarajevo oggi?
E’ difficile sintetizzare. Sicuramente…
1) La dignità delle persone che ho incontrato
Come in tutti i viaggi e come in tutta la mia vita (sono anche Counselor), oltre all’arte e alla cultura, mi attraggono le persone. Cerco, quindi, se posso, di fare tour “locali”, ad esempio walking tour con studenti del posto o tour un po’ insoliti in cui si visitano le botteghe del quartiere e quindi i suoi “abitanti tipici”.
A questo scopo suggerisco Sarajevo Insider e in particolar modo il suo tour sull’assedio di Sarajevo. Io ho avuto la fortuna di avere come guida Nervin, che ha combattuto in prima persona durante la guerra. Il racconto che fa è allo stesso tempo distaccato (e il più possibile imparziale) e commovente. Mi ha colpito come una persona che abbia vissuto i momenti difficili descritti possa ancora definirsi “ottimista del futuro” e riuscire a ironizzare sulle visite di Bonovox a Sarajevo e sulla presenza dei suoi immancabili occhiali gialli.
Accanto alla dignità di persone che si sono risollevate, nonostante tutto, è l’accoglienza balcanica a essermi rimasta impressa. Certamente ero una turista, giovane, e per di più in viaggio da sola.. quindi potevo destare interesse, curiosità o comunque maggior “senso di protezione”. In ogni caso, pur essendo sempre fisicamente da sola, mi sono sentita “a casa”. Appena arrivata nella Barkascija (il centro storico, raccolto e pedonale di Sarajevo) e mollati i bagagli, mi sono diretta nella prima panetteria che ho trovato, affamata da un giorno di viaggio e vogliosa di provare il tanto decantato Burek (torta salata ripiena di carne). Dopo 5 minuti già parlavo con un altro avventore e, nonostante, il proprietario della bottega parlasse poco Inglese, si era già profuso in segni e gesti per mettermi a mio agio.
Non è un’accoglienza latina o africana.. è un accoglienza non invadente, discreta… ma che ho percepito come veramente autentica.
Forse è legata al fatto che Sarajevo è sempre stata una città di transito e accogliente nei confronti “dell’altro”
2) Il mix culturale
Il secondo punto che lascia senza parole è infatti il mix straordinario di culture, voci, religioni e architetture.
In un fazzoletto di strada si concentrano, l’una in fianco all’altra, moschee, sinagoghe, chiese Cattoliche e chiese Ortodosse. Un amalgama che è unico al mondo. Certamente anche Gerusalemme è nota per essere il fulcro delle principali religioni, ma lì le religioni si scontrano o, comunque, fanno vita strettamente separata.
A Sarajevo l’amalgama è armonico e sembra passare indifferente sotto gli occhi della gente, al punto che sembra impossibile che ci possa essere stato un conflitto etnico soltanto 26 anni fa.
A questo proposito e nello specifico sul fatto che la guerra dei Balcani non è propriamente un conflitto “etnico” consiglio il bellissimo libro di Rumiz “Maschere per un massacro”, che evidenzia come il conflitto sia stato innescato dalla gerarchia in essere per poter proteggere il suo potere nel momento del crollo del Comunismo. Il libro è stimolo anche per rilevanti parallelismi sulla creazione delle paure e del pregiudizio anche nell’Italia di oggi.
Per le strade si vedono ragazze con il velo, ma con gli occhi di ghiaccio e i tratti slavi, a braccetto con amiche dal capo scoperto e magari dalla fisionomia più mediorientale.
Il cortile della grande moschea Ferhadija non è solo il punto di incontro dei credenti mussulmani ma è praticamente parte integrante del centro della città e scorciatoia per chi va di fretta e deve attraversare il centro.
3) Sarajevo è anche l’incontro tra Occidente e Oriente e la prova evidente del disinteresse dell’Occidente nei confronti di un vicino prossimo
C’è un punto sulla Ferhadija che è fotografato da tutti e segnalato da una scritta a terra che recita “Sarajevo Meeting of Cultures”. In questo punto si passa repentinamente dal mondo Ottomano, fatto di bazar e case a un piano, ai viali eleganti del periodo asburgico. Praticamente è come passare con un passo da Istanbul a Vienna. Oriente e Occidente.
Sarajevo e la visita dei suoi musei (tra cui l’imperdibile Galleria Memoriale dedicata al genocidio di Srebenica) è anche però l’evidenza di come l’Occidente abbia fallito qualcosa nel suo tentativo di porsi come faro e aiuto per l’Oriente. Questo è testimoniato da una foto che campeggia nel museo di Srebenica: UN = United Nothing. Le Nazioni Unite e le grandi potenze proprio qui hanno rivelato la loro incapacità (o forse la loro superficialità e disinteresse).
Non c’è da stupirsi se oggi la città cominci a guardare sempre più a Oriente, ai ricchi Paesi della Penisola Arabica, per avere finanziamenti e sostegno.
4) Sarajevo non è un viaggio come un altro, non è la visita di UNA città, ma è un viaggio nella storia recente.
Per me la guerra è sempre stata la Seconda Guerra Mondiale, quella di cui mi raccontavano i nonni e che era fatta di bombardamenti su Milano.
Le altre guerre, sentite in sottofondo durante i TG, mi sono sempre sembrate lontane.
Sarajevo però è vicino nel tempo e vicina al confine Italiano.
Un viaggio a Sarajevo non sarà forse sempre gioioso e divertente, ma va fatto. La guerra va avvicinata, perché è utile capire che il male e la follia umana possono riscoppiare da un momento all’altro
5) Sarajevo città di vita
E’ vero che la visita a Sarajevo e il racconto della città vanno di pari passo con la parola Guerra e che i principali itinerari circostanti (da Mostar a Srebenica) sono costruiti intorno a essa.
Ma Sarajevo è anche città vitale e piena di leggerezza, ricca di locali e bar.
La vita qui è sempre continuata, all’insegna della raffinata cultura urbana. Il teatro non si è fermato durante l’assedio, ma è soltanto cambiata la moneta: il pagamento del biglietto d’ingresso era fatto con candele perché mancavano le luci di scena.
Neanche il cinema ha abbandonato la città, visto che il Sarajevo Film Festival è nato proprio negli anni della Guerra. Indicativa è stata la risposta dei promotori del Festival nel 1995 a cui era stato chiesto: “Perché fare un Festival durante la guerra?”
La risposta (purtroppo mi sono segnata l’aneddoto ma non l’autore): “Ma perché, piuttosto, fare una guerra durante un Festival?”
Se volete fare un’esperienza simile alla mia, ma non avete voglia di organizzare tutto da soli, potete leggere la mia proposta di viaggio a Sarajevo e Mostar
anna
La Bosnia mi è rimasta nel cuore, la sua gente, la sua cucina, la sua storia. Sarajevo è una città affascinante, un vero mix di culture.
Valeria
Assolutamente, condivido tutti i 3 punti, a partire proprio dalla gente!